venerdì 3 gennaio 2014

Fiat e Chrysler: cosa possiamo aspettarci?

ATTUALITA' - Il 2014 è cominciato con un annuncio storico per l'industria italiana: FIAT ha completato l'acquisto delle azioni di Chrysler, il gruppo americano fallito e risanato con l'accordo ed il contributo del governo USA. Qualcuno ha istintivamente provato orgoglio ed entusiasmo, qualcun altro si è preoccupato per un'azienda che sembra sempre più lontana dalla sua storia e dai suoi stabilimenti italiani, tutti in fase fiacca di attività. Acquistare un'azienda straniera quando gli operai italiani sono in cassa integrazione, lo possiamo considerare ingiusto o immorale?

Sergio Marchionne, protagonista della strategia di sviluppo dell'azienda negli ultimi anni, ha sempre sostenuto che quella tra Chrysler e FIAT è una alleanza di tecnologie e mercati complementari: da una parte le auto piccole, i motori a basso consumo, una storica presenza in Europa ed America Latina; dall'altra, grandi berline e fuoristrada che sono apprezzati non solo nel tradizionale mercato nordamericano, ma anche in Cina. Insomma l'obiettivo non sarebbe di abbandonare gli stabilimenti italiani, malgrado le numerose polemiche con politica e sindacati, bensì fare di FIAT un colosso internazionale che possa produrre ogni tipo di auto e venderlo ovunque. Non è una idea originale: il maestro di questa strategia è Carlos Gosn, presidente di Nissan e poi di Renault, che è riuscito ad integrare alla perfezione queste due aziende così lontane per goegrafia e mentalità. Renault e Nissan hanno messo insieme la loro forza tecnologica e commerciale e riescono, insieme, a fronteggiare i più grandi colossi dell'auto, come GM, Toyota e Volkswagen.

In realtà, Marchionne vuole realizzare qualcosa di ancora più complesso, perché all'alleanza industriale vuole aggiungere quella finanziaria. La ragione di questo è che la borsa italiana è troppo piccola per consentire a FIAT di raccogliere tutti i capitali necessari al suo sviluppo. Quindi, mentre Renault è rimasta a Parigi e Nissan a Tokyo, FIAT medita di trasferire la sede a Detroit e la cassa a Wall Street. I manager FIAT hanno già iniziato a considerare l'Italia un mercato come tanti e avere atteggiamenti "politicamente scorretti" come correre a costruire una nuova fabbrica in Serbia mentre si chiude, a Termini Imerese, il perno intorno a cui ruotava uno dei pochi nuclei industriali della Sicilia. Una politica industriale spregiudicata, funzionale per l'azienda ma indifferente rispetto all'Italia. Non a caso FIAT è anche uscita da Confindustria. Certo, l'Italia resterà sicuramente il punto di riferimento di FIAT per l'Europa, resterà il paese dove si produrrà la maggior parte dei modelli. Contestualmente ai 4 miliardi per le azioni della società americana, altri 3 sono stati stanziati per gli stabilimenti di Mirafiori e Cassino, da tempo in stato di incertezza. Queste due fabbriche dovranno produrre auto medio-grandi, per una fascia di mercato che FIAT ha progressivamente abbandonato e in cui adesso sembra voler tornare con convinzione. Sembra davvero possibile un rilancio del glorioso marchio Alfa Romeo, peraltro anticipato dalla sportivissima 4C. Un modello a tiratura limitata, ma volutamente estremo per stupire (sui circuiti internazionali strappa tempi all'altezza di supercar ben più potenti e costose) e mostrare che Alfa si pone su una strada di eccellenza tecnologica. Quello che mancava era una tecnologia adeguatamente collaudata ed economica per la trazione posteriore (che FIAT ha abbandonato da decenni), per i cambi automatici (poco comuni in Europa) e una rete di concessionari tale da assicurare adeguati numeri di vendita. Adesso il 100% di questi elementi è a disposizione, e si allontanano le voci che volevano una vendita del marchio a Volkswagen. Resta nella palude invece un altro marchio storico, Lancia, per il quale non sembrano esserci idee o prospettive. L'uso del marchio su modelli americani d'importazione (Flavia, Thema e Voyager) si è rivelato un fiasco e alla fine Lancia resta dipendente da un solo modello, la Ypsilon, venduta quasi solo in Italia e Francia. C'è il forte rischio che il marchio venga abbandonato, per il sommo dispiacere dei "lancisti". Continuando a parlare di stabilimenti, quelli del sud (Pomigliano e Melfi) resteranno focalizzati sulle auto piccole, l'inossidabile Panda (di cui forse sarà prodotta una versione ingrandita) e la nuova, attesa coppia di piccole fuoristrada: quella marchiata Jeep sarà presentata a marzo, quella a marchio FIAT qualche mese dopo e sarà l'ennesimo elemento della famiglia 500. Insomma sembra che, a parte l'ormai chiuso Termini Imerese, tutti gli stabilimenti FIAT abbiano un futuro.

I risultati parziali della strategia Marchionne sono contraddittori. In Nordamerica le cose vanno bene, sia perché il mercato si è in generale ripreso, sia perché va forte il marchio Jeep, quello che porteranno almeno due dei modelli da produrre in Italia. In Europa invece va male. FIAT, riorganizzandosi, ha abbandonato interi segmenti di mercato, come quello delle berline a 3 volumi e delle station wagon. Non ha quindi cercato di reagire al calo delle vendite rinnovando i propri prodotti, come hanno fatto la maggior parte degli altri costruttori. Una strategia sbagliata secondo alcuni, perché ha fatto sparire quote di mercato che chissà se sarà mai possibile recuperare. Una strategia esatta secondo altri, che hanno osservato come PSA (Peugeot e Citroen), abbia inondato il mercato di modelli nuovi belli, moderni e funzionali, ma non abbia ottenuto altro che debiti talmente elevati da rischiare il fallimento. E PSA è, per il tipo di auto che produce e per i mercati che serve, il gruppo automobilistico più simile a FIAT. Tant'è che il salvataggio del gruppo francese è avvenuto grazie agli americani di General Motors, gli stessi che in passato erano entrati nel capitale di FIAT. Cruciali saranno i risultati che otterranno i nuovi modelli della famiglia Alfa. I manager FIAT ostentano ottimismo, perché hanno deciso di seguire le stesse linee guida che hanno consentito di rilanciare, con risultati ottimi, il marchio Maserati. 

Per tornare alla domanda del titolo, cosa possiamo aspettarci dunque da FIAT? Dal punto di vista societario e legale, la paura nell'aria è che il prossimo tassello della strategia sia trasferire il vertice del gruppo al di là dell'oceano. Anche se l'occupazione restasse intatta, per la continuità della produzione e per il mantenimento di Torino come sede per l'Europa, inevitabilmente sarebbe un colpo. Un altro triste regalo del processo economico chiamato globalizzazione. Dopo le innumerevoli aziende industriali, commerciali e di servizi che sono già diventate "straniere" perché acquistate da imprese o imprenditori non italiani, una azienda storica che per propria scelta si trasferisce all'estero, non per produrre a basso costo, ma per lavorare in un sistema paese che consente orizzonti più ampi.

Alessio Mammarella

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